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Editoriale

La Riforma Agraria dei Gracchi e il suo mito nel saggio di Mattia Balbo

03 aprile 2020

Torino – Per quanto distanti più di due millenni, le vicende della Res Publica Romana continuano ad essere oggetto di intenso studio da parte degli srorici e ad affascinare anche i non specialisti della materia. La distanza temporale, infatti, non é sufficiente ad annullare le conseguenze che quelle vicende e quei personaggi hanno avuto sulle epoche successive, contribuendo a formare la societàmin cui tutt’ora viviamo.

Tra i personaggi che continuano da secoli a dividere e appassionare ci sono sicuramente i Gracchi. Rampolli della nobilitas romana (discendenti, per parte di madre, di Scipione Africano), Tiberio e Gaio si posero alla guida di un movimento riformatore che, a partire dalla riforma agraria proposta dal fratello maggiore, provò a riformare in maniera profonda la Repubblica Romana, le cui istituzioni sembravano sempre più inadeguate a governare un territorio che aveva si estendeva su tutto il Mediterraneo occidentale.

Nonostante il mito successivo li abbia dipinti come tali, i Gracchi non furono dei “riformisti” o dei “rivoluzionari” nel senso moderno del termine. Le loro riforme, al contrario, miravano a rendere di nuovo possibili le condizioni che avevano dato a Roma un ceto di piccoli e medi proprietari terrieri, che rappresentavano la maggior parte degli uomini arruolabili. Gaio, inoltre, mirava anche ad estendere i diritti dei popoli italici sottomessi da secoli a Roma, integrandoli del tutto nel sistema di governo romano, che aveva bisogno di stringere i legami con loro per prevenire pericoli interni alla penisola che avrebbero messo in difficoltà Roma.

Le proposte dei Gracchi, come descritto in maniera precisa e appassionante da Mattia Balbo nel suo “I Dodici Anni che Cambiarono Roma” (ed. Saecula), trovarono comunque l’opposizione di una parte consistente dell’aristocrazia, che vedeva parte dei propri privilegi messi in crisi da una redistribuzione delle terre. Questa opposizione si trasformò in vera e propria ostilità, fino alla drammatiche fine della vicenda graccana, con entrambi i fratelli uccisi nel corso di violenti scontri urbani, Tiberio dallo stesso pontefice massimo Scipione Nasica.

Uno dei punti di forza del saggio da Balbo é quello di aver aggiunto, al termine della parte più propriamente storiografica, piccoli capitoli dedicati al “mito” graccano nella storia, dalla stessa Roma (con le orazioni di Cicerone, che era avverso agli eredi della loro fazione ma riconobbe la bontà della loro riforma agraria) fino a Machiavelli, senza dimenticare i rivoluzionari francesi come Babeuf e gli stessi Kennedy, in un ardito quanto affascinante parallelo fra Roma e Washington, tra il ruolo di ministro di Bob Kennedy nel governo del fratello e quello di triumviro agricolo di Gaio per applicare la riforma di Tiberio. L’idea stessa di riforma agraria, in un presente che combatte col cambiamento climatico, cercando di far convivere l’idea di produttività con quella di sostenibilità. Lo stesso discorso vale per il nostro Paese, dove l’ultima vera riforma del sistema agrario risale al 1950 e gli imprevedibili sviluppi a medio termine dell’economia potrebbero rendere ancora più obsoleto un provvedimento che non poteva prevedere gli sviluppi politici, economici e sociali del nostro Paese per così tanti anni. Donato D’Auria