I vincitori delle elezioni politiche non hanno i numeri per governare
Torino – Sono passati quasi quaranta giorni dalle elezioni politiche del 4 marzo, ma il futuro politico italiano é ancora tutto da scrivere. Complice una legge elettorale priva di un consistente premio di maggioranza e la presenza di tre “poli” forti (ben tre coalizioni hanno ottenuto almeno il 20% dei voti) hanno contribuito in maniera determinante a rendere il Paese difficilmente governabile. La situazione è resa ancor più difficile dall’evoluzione della situazione della politica estera (crisi siriana è guerra commerciale fra Cina e Usa) ed interna, con importanti scadenze nei confronti dell’Ue alle porte. È chiaro che in questo momento sarebbero necessarie le risposte di un Governo “solido”, diverso da quello dimissionario anche presieduto da Paolo Gentiloni, che non può far altro che mantenere lo status quo precedente alle elezioni. Anche il Parlamento, che pure potrebbe proporre leggi anche in assenza di un esecutivo forte, non può intervenire senza una convergenza fra le diverse forze politiche.
È molto difficile prevedere l’evoluzione di questa intricata situazione. Il Presidente Mattarella, terminato il secondo giro di consultazioni (che non ha modificato i veti incrociati fra le forze politiche), ha iniziato un breve periodo di riflessione, che si concluderà a metà della prossima settimana con una decisione sul futuro del Paese. Non sono pochi i parlamentari, soprattutto del M5S, cui non dispiacerebbe un ritorno alle urne, anche se tutti i principali leader, da Di Maio a Berlusconi, vorrebbero temporeggiare fino alle elezioni regionali in Molise e Friuli, che si svolgeranno rispettivamente il 22 e il 29 aprile. Secondo molti analisti, infatti, il risultato di queste elezioni potrebbe far pendere l’ago della bilancia verso i Cinquestelle (in caso di un altro exploit al Sud) o verso il Centrodestra (in caso di una vittoria in entrambe le regioni) che sarebbe pronto a giocare anche la carta Casellati (sarebbe la prima donna premier della storia della Repubblica) per attirare i voti di una pattuglia di “responsabili” (servirebbero almeno 50 parlamentari) dal Gruppo Misto e dal Pd per formare un governo di larghe intese.
In ogni caso, un accordo é rimasto l’unica alternativa al ritorno alle urne. Senza una maggioranza di governo possibile, le forze uscite vincitrici dalle elezioni (Movimento Cinque Stelle e Lega) devono necessariamente cercare un patto basato sui contenuti, ma anche su una mediazione tra forze politiche molto diverse fra loro e guidate da due leader non intenzionati a tradire un elettorato che ha puntato molto sul loro carisma e, soprattutto, sulle loro promesse, molto di difficili da mantenere. Se non saranno in grado di mettere in campo anche una grande abilità diplomatica, tuttavia, saranno i principali responsabili di un ritorno alle urne che di certo non farebbe bene al Paese. Ad oggi, Salvini e Di Maio hanno avuto un rapporto altalenante, fatto di compromessi (come quello per l’elezione dei Presidenti delle Camere), ma anche di scontri particolarmente aspri e di veti incrociati. Solo la fine degli scontri, tuttavia, porterà alla firma di un “contratto” di governo sul modello tedesco e alla formazione di un governo pienamente operativo. Donato D’Auria